giovedì 13 marzo 2008

LA STORIA


Prologo
La voce della bambina-fragola superava qualsiasi confusione. «Abbiamo vinto vero mamma? Abbiamo vinto noi, il giocasiti!?»
«Se non la smette, entro 2 secondi, la strozzo!» pensava Alicia mordendosi un labbro. Già era difficile restare sotto quel sole in mezzo alla folla appiccicosa, tra bambini ansiosi di tutte le età e genitori che faticavano a distrarli nell’attesa, ci mancava solo quella piccola rompiscatole col vestitino rosso a puois, il collettino verde e i capelli raccolti con una miriade di mollettine colorate e che soprattutto… non stava zitta un attimo.
Era ovvio che non era l’unica ad aver vinto l’entrata al GIOKAcity nell’inaugurazione dell’Antares! Le migliaiaia di persone in attesa davanti ad ogni entrata erano una prova lampante di come la pubblicità a tappeto degli ultimi mesi, dai mega cartelloni, ai giornali, alle fermate degli autobus, agli spot sulle radio e le TV private… era riuscita creare l’evento dell’anno.
La campagna pubblicitaria del gioco “La luna nel pozzo” presso tutti i centri estivi della zona, poi, era stato il tocco finale e anche chi aveva pensato di visitare il nuovo Centro commerciale in un secondo momento per evitare la calca dell’inaugurazione, aveva ceduto davanti al biglietto vincente dei figli per la promozione del GIOKAcity occasione unica e imperdibile, proprio perchè sarebbe durata un giorno solo.
Alicia mise una mano in tasca per assicurarsi che il suo biglietto vincente fosse ancora lì, con i bordi d’ oro grattato e il suo HAI VINTO multicolore ben in vista assieme alla faccia di POPUP. Lo davano ad un solo euro in più sulla consumazione nella gelateria Croccolandia e lei era arrivata a mangiare anche due gelati al giorno per avere più possibilità di vincere. La sua linea ne aveva risentito un po’, ma alla fine ne era valsa la pena.
«Uffa, quando si entra!? Io non ce la faccio più e mi scappa anche la pipì.» Un biondino riccioluto, col naso a punta, che avrà avuto sì e no 6 anni, stava appeso ai pantaloni di uno spilungone, anche lui biondo, ma con i capelli stranamente raccolti in treccine come quelle delle donne africane che gli correvano in file ordinate lungo la testa e finivano alla base del collo.
«Che tipo?!» commentò Alicia a voce alta senza accorgersene e tornando con lo sguardo sul bimbetto appeso ai pantaloni pensò che se continuava così non ci sarebbe voluto molto perché lo spilungone restasse in mutande, visto dove già stazionavano i suoi jeans.
«Ahia!!! Ma vuoi stare attento?!» Sul piede di Alicia erano finiti, con la leggerezza di un cinghiale inferocito, 40 chili di peso morto appartenenti ad un ragazzotto dalle labbra grosse tutto sudaticcio. «E’ stato lui che mi ha spinto!” Filippo indicava un altro tipo lentigginoso che se la rideva a crepapelle. Senza chiedere scusa Filippo provò a tornare al suo posto sgomitando tra la massa di gente che si era immediatamente richiusa dopo il suo passaggio e una volta arrivato dal suo amico e non potendo ricambiare la spinta, cominciò a strattonarlo per la felpa.
«Sei un imbecille, ridammi il mio GIOKApass - omaggio»
«Per me è taroccato»…
«Ma va a quel paese! Tu sei taroccato e tutto quello che hai addosso, questo me l’ha dato l’amico di mio papà che è l’architetto e che conosce benissimo il direttore dell’Antares»
Dopo qualche minuto di corpo a corpo, tra i brontolii di disapprovazione di chi stava attorno a loro, Filippo aveva di nuovo nelle mani il suo preziosissimo GIOKApass - omaggio . Osservò bene che non si fosse troppo sgualcito e che soprattutto ci fosse ancora l’immagine di POPUP sorridente che assicurava meraviglie nel nuovo reparto GIOKAcity del nuovo centro Antares dove ogni desiderio dei ragazzi si poteva realizzare.
Alicia cercava di stare su un piede massaggiandosi quello infortunato, ma la fila aveva cominciato ad avanzare ondeggiando, forse per un nuovo falso allarme o forse perché davvero quelli davanti avevano visto arrivare il personale dell’Antares ai portoni, tentò di non perdere l’equilibrio e riuscì a trovare uno spazio per rimettere giù il piede. La bambina-fragola se ne stava ora sulle spalle del papà e strillava come un’aquilotto nel nido, forse era davvero arrivata l’ora di apertura. Alicia si sistemò la maglietta che le era salita sulla schiena e alzando lo sguardo incrociò quello del biondo spilungone.
Matteo la guardava contorcersi nel tentativo di chiedere ad una maglietta troppo corta qualcosa di impossibile, poi sentì nelle orecchie la voce roca di mamma che stava un metro indietro.
«Matteo, attento a tuo fratello!Guai a te se lo schiacciano!!» Valentino aveva smesso di stare attaccato ai suoi pantaloni e saltava dall’eccitazione assieme ad un altro ragazzetto indiano nel tentativo di vedere al di là della fila. Matteo allungò una mano e arpionò Valentino trascinandolo vicino a sé.
«Teo è vero che qui una volta c’era un ospedale?»
«Sì»
«E poi hanno costruito l’Antares? »
«Sì»
«E io sono nato nell’ospedale che c’era prima?»
«Sì»
«E l’ospedale dove l’hanno messo?»
«Dall’altra parte della città… però adesso finiscila, che è ora di entrare. Non metterti a correre in giro come il tuo solito che sennò ti perdi o ti schiacciano come uno scarafaggio e poi la mamma mi fucila.»
La musica dagli altroparlanti esterni si abbassò lentamente e una calda voce maschile annunciò: «Benevenuti all’Antares! La nuova galassia di opportunità!»
MESE DEL CIAO
Un boato di gioia e applausi rispose all’annuncio di benvenuto e subito l’eccitazione, che si era allentata in quei lunghi momenti di attesa, tornò a mille. «…il Centro Commerciale Antares è lieto di aprire le sue porte e fare festa con tutti voi, amici delle stelle!»
Un altro boato della folla fece eco allo slogan un po’ kitch, tutti però sembravano stare al gioco e la fila festante si mise in moto per entrare dalle porte automatiche del Centro che si erano finalmente aperte dopo soli tre anni dall’inizio dei lavori. L’Antares era una struttura avveniristica, non come quegli enormi “scatoloni” che nascono nelle periferie o nelle zone commerciali. Si ergeva con i suoi 5 piani nel bel mezzo della città, tra vetro e acciaio e altri materiali di ultima generazione: un vero gioiello incastonato in una cittadina di media grandezza, che ora però sentiva di poter puntare in alto per giocarsi un nuovo posto di prestigio nell’intera regione.
Nel complesso la struttura da lontano poteva sembrare qualsiasi cosa, perfino un moderno aereoporto con tanto di torre di controllo. In cima a tutto però svettava l’insegna dell’Antares con il suo globo stellare che di notte illuminava mezza città, mentre ora ai suoi piedi l’ondata di folla entrava per la prima volta nell’edificio, come termiti all’attacco di un tronco d’albero. La gente si riversò nell’atrio incredibilmente senza incidenti, ma era possibile solo lasciarsi trasportare dal flusso. Poco male, tutti erano lì per vedere il tanto atteso Antares e presto ci si sarebbe potuti espandere nei grandi spazi su cui si affacciavano a centinaia i negozi.
Il personale, con un sorriso Barbie-Ken, nella inamidata divisa bluelettrico, controllava che tutto si svolgesse per il meglio e accoglieva le frotte di piccoli e grandi clienti con un: “Benvenuti all’Antares!”.
La gente, appena trovava un po’ d’aria e lo spazio adatto, si ricomponeva dopo la pressa delle porte e alzava lo sguardo ammirando estasiata quegli spazi nuovi e scintillanti dove le scale mobili si intrecciavano, le vetrine sembravano moltiplicarsi, la grande fontana zampillava grazie all’abile mano dell’artista spagnolo La fuente (un nome un programma).
Alicia sgranò gli occhi allungati, di cui tutti apprezzavano il loro disegno a mandorla, non sapendo però dove farli riposare. C’era troppa roba da vedere! Tutto chiedeva attenzione tra colore e luce. Nelle vetrine gli articoli e i manichini dicevano la cura con cui quella inaugurazione era stata preparata. Dagli alti soffitti le decorazioni argentee scendevano disegnando una nuova via lattea.
Non c’era mai stato niente di simile in città e nemmeno in tutta la regione… tanto più nel paese di origine di Alicia. Anche se si era trasferita lì da 10 anni sapeva bene quale povertà la sua famiglia si era lasciata alle spalle, per cui il suo cuore pompava sovraeccitato.
Filippo e i suoi compagni di classe correvano da una parte all’altra richiamandosi ad alta voce tutte le volte che uno vedeva qualcosa di particolarmente accattivante.
«Devo assolutamente arrivare al 3° piano dove c’è il buffet, prima che si riempia di gente, per vedere l’architetto Biasi. Tu tieni d’occhio tuo fratello e non combinate danni.» La mamma di Matteo e Valentino baciò il piccolo sulla testa, ma lui era come ipnotizzato.
«Teo, non uscite dal Centro, tieni acceso il cellulare…faccio presto. Se fate i bravi, dopo vi compro qualcosa di speciale!» La signora Conti nella sua gonna stretta sgambettò veloce per raggiungere la corrente ascendente delle scale mobili e sorrise luminosa salutando i figli.
Teo la guardava salire e gli sembrò un’ astronauta americana in partenza per la luna.
Non ti serve il circo Togni per trovare ciò che sogni!
All’Antares, credi a noi, compri tutto ciò che vuoi!
Nel grande corridoio era comparso un pupazzone stile Disneyland. Era POPUP, la mascotte del Centro.
«Ehi, Valentino hai visto chi c’è?»… ma Valentino non c’era più. Matteo si girò più volte per vedere se il fratello si era solo allontanato di poco, tra tutta quella gente però sembrava quasi impossibile riconoscere un bambino da un altro… e il panico cominciò a mordergli le gambe come un piraña.
L’arrivo di POPUP aveva attirato la marea di bambini schiamazzanti e il pupazzone saltellante, ripetendo le sue famose frasi, posava per le foto e accarezzava i più piccoli impauriti nelle braccia delle mamme e delle nonne, neanche fosse il papa! Anche la bambina-fragola era riuscita a farsi portare da POPUP, solo che lei per poco non gli aveva staccato le antenne…
Valentino aveva un dono speciale per mettersi nei guai e rovinare tutto. Matteo girava tra i bimbi cercando disperatamente di riconoscere il naso a punta del fratello e in cuor suo malediceva il momento in cui aveva detto di sì alla mamma pur di essere a quell’inaugurazione… quando se lo trovò davanti. Stava in braccio a quella ragazza mora, con la frangetta e gli occhi curiosamente allungati che aveva visto all’entrata.
«Era finito nel negozio di telefonini e non riusciva a tornare nel corridoio per la calca» spiegò Alicia.
Valentino con gli occhi lucidi cambiò braccia volentieri rifugiandosi in quelle del fratello. Probabilmente quella breve esperienza di folla aveva fatto tremare i suoi 6 anni, desiderando solo una faccia familiare.
«Ehm…Grazie, è mio fratello» sentì di dover precisare Matteo, con un po’ di imbarazzo.
«Dovete andare al GIOCAcity?» chiese Alicia
«Beh…ecco… veramente, no. Non abbiamo nessun biglietto, siamo solo venuti a farci un giro, così per curiosità. E poi mia mamma doveva vedere un tipo.»
«Io un biglietto ce l’ho. Hanno detto che è fantastico, ma con tutta questa gente e in questo posto così grande, sarà un’impresa arrivarci!”
Matteo e Alicia quasi urlavano per capirsi e ogni tanto qualche bambino per seguire gli spostamenti di POPUP finiva loro addosso in malomodo. Il pupazzone giallo si stava però dirigendo verso il reparto 4 stagioni e quasi per magia dopo qualche secondo il corridoio fu (più o meno) sgombro.
«Dài, andiamo dalla parte della fontana, dove ci sono le giostre, mi hanno detto che hanno messo anche dei videogiochi!» Filippo tirava un amico per la manica della felpa grigia che ormai era diventata lunga il doppio.
«Sei un poppante, dillo che vuoi vedere le giostrine!» Lo canzonò Alessio.
«…ci andiamo dopo» tagliò corto l’altro compagno «facciamo un giro per il reparto 4 stagioni che c’è la roba di carnevale tutto l’anno… anzi, no, guarda quello!Che ganzo, voglio provarlo.»
«Poppante è tua sorella, ci vado da solo ai video non ho bisogno della babysitter!… Tu invece tieniti la tua badante!…»
Filippo, saltando sulle scale mobili, sparì all’interno della vita lattea, mentre il suo amico letigginoso e quello con la felpa grigia, dopo aver fatto spallucce, entrarono e uscirono da un paio di negozi smaniosi come cani da tartufi, con la sola differenza che non sapevano affatto cosa cercare.
Ad assistere alla scena Matteo e Alicia si scambiarono un’occhiata e fu allora che Valentino disse: «Voglio un gelato.»
La gelateria Nebulosa era stata pubblicizzata almeno quanto il nuovissimo reparto 4 stagioni o il reparto tecnologico Albatronics, per cui i tre si avviarono al 2° piano seguendo le varie correnti di acquirenti… una gelateria così, sicuramente ne avrebbe sviluppata una simile a quella del Golfo!
Trovare la gelateria non fu difficile, ma, come era ovvio, era stata presa d’assalto e mentre Matteo raccolse la sfida per accontentare il fratellino, Alicia si tirò indietro (il pieno di gelati l’aveva fatto tutta l’estate per guadagnarsi il suo GIOKApass) e, accettando di badare a Valentino, iniziò a passeggiare lungo le vetrine attorno alla piazzetta. Forse era stupido aspettare così uno sconosciuto mentre cercava di conquistarsi il suo astro-cono, ma da quando aveva preso in braccio Valentino sul punto di scoppiare a piangere, sentiva che per affrontare un posto così grande era meglio avere vicino qualcuno. Sarebbe venuta anche lei con uno dei suoi quattro fratelli, se solo non fossero stati tutti più grandi e occupati a passare il sabato pomeriggio in un altro modo. E poi Matteo – capelli a parte - sembrava un tipo a posto.
Dalla filodiffusione la musica si mescolava a quella dei CD di ogni singolo negozio creando un sottofondo caotico di suoni che in realtà non sentivi. Alicia si accorse che c’era musica solo perché ogni tanto veniva interrotta dai Jingle di promozione dei vari reparti e dal segnale orario.
Sono le ore 15.15
Matteo tornò con due coni enormi sul punto di sciogliersi, ma fu proprio mentre Valentino stava per prendere tra le sue manine tutto quel ben di dio… che nella piazzola passarono due pizzaioli con grembiuli coloratissimi e cappelli fatti a mozzarella e a pomodoro che rotevano pizze sulla testa della gente come giocolieri.
«Voglio la pizza!» esclamò Valentino. Non ci fu verso di fargli mangiare il gelato e Alicia si sacrificò a far sparire l’astro-cono cioccolato e panna.
Ora si sarebbe dovuti partire alla caccia dello Strizzapizza, per accontentare Valentino, ma Matteo passando vicino al negozio K2, che esibiva le ultime sfolgoranti novità in fatto di skate, cominciò a rallentare, provando a convincere il fratello con uno di quei discorsi da adulti: che non poteva cambiare idea ogni secondo… che non si può sempre avere tutto….
«Voglio la pizza! Voglio la pizza!…» ripeteva Valentino come un CD impallato e quasi all’unisono una vocetta penetrante iniziò a duettare con lui. Alicia riconobbe subito quella voce: La bambina-fragola!!!
La bimbetta dell’entrata stava saltando a piedi uniti nel carrello dei genitori accompagnando con quel simpatico suono metallico la sua richiesta da manifestazione di metalmeccanici: «PIZZA, PIZZA, PIZZA…» La mamma senza alzare la voce tentava di convincerla e calmarsi, ma l’effetto ottenuto era solo un cambio di colore: dalla rivendicazione dei propri diritti si passava al “frignato andante” con faccette prossime al pianto che sarebbero state premiate alla notte degli Oscar.
«Ciao, sono Susanna, posso aiutarvi?»
Al grido di “pizza…pizza” sembrava quasi essersi materializzata una fatina nella sua minigonna e corpetto bluelettrico, con pattini ai piedi che la facevano più alta e bionda di quanto non lo fosse.
Catturò l’attenzione della bambina-fragola e anche di Valentino, regalò un ciupa ciupa a ciascuno e si offrì di aiutarli a trovare ciò che cercavano.
La famigliola felice inisistette perché la bambina-fragola ringraziasse con un bacetto quella gentilissima fatina, ma la bimba non cedette di un millimetro, improvvisando sul tema della dolce fanciulla timida con gli sconosciuti.
Valentino che all’istante si era ficcato in bocca il ciupa alla cola, sembrava essersi dimenticato anche solo cosa fosse una pizza.
«Ciao, ragazzi, cosa stavate cercando?»
«Niente, niente…» cercò di svicolare Matteo.
Alicia pensò che la domanda non era poi così scontata: cosa ci faceva quel giorno all’Antares? «Io… ho un biglietto vincente per il GIOKAcity.»
«Galattico!» esclamò Susanna «Non manca molto alle quattro e tra un po’ avrete la possibilità di realizzare il vostro desiderio!» Sembrava sinceramente entusiasta, oppure recitava benissimo e Alicia cominciò a provare un pizzico di simpatia per quella fatina con le rotelle.
Matteo se ne restava un po’ defilato appoggiato alla vetrina di K2.
«E’ il modello 125, doppie sospensioni, portanti in alluminio e ginocchiere in regalo… vai come un missile!» Susanna parlava dello skate sul quale Matteo qualche minuto prima aveva messo gli occhi e lasciato il cuore. Come faceva quella a conoscere il modello che gli piaceva?!
«Matteo e Valentino non ce l’hanno un biglietto per il GIOKAcity» sbottò Alicia. Forse si poteva fare un tentativo e vedere se la fatina era veramente tale.
«Ahaa… se lo volete veramente… per questo c’è rimedio, ma bisogna saper rischiare.» Susanna infilò velocemente le mani in un piccolo marsupio che portava legato dietro e le estrasse a pugni chiusi davanti a Valentino.
Valentino sorrise, guardò il fratello che aveva la faccia a forma di punto interrogativo e poi toccò la mano destra di Susanna. Quando lei la girò, aprendola, una piccola stella brillava sul suo palmo e Valentino la afferrò immediatamente cercando di estrarre, con le sue ditina, il biglietto racchiuso nella plastica coperta di brillantini.
MESE DELLA PACE
Sono le 15 e e 50 minuti…
Era stato difficile convincere Valentino a consegnare il suo GIOKApass anche solo per il controllo, ma ora per mano di Alicia aspettava assieme alle altre centinaia di bambini che aprissero le serrande di GIOKAcity.
«Oggi non abbiamo fatto altro che aspettare» osservò Alicia e Matteo annuì un po’ spazientito. Non che non fosse contento di aver vinto all’ultimo momento quel benedetto biglietto, ma si sentiva un po’ “perso” in quella massa di gente che desiderava la stessa medesima cosa: l’ennesima apertura. E se fosse stata tutta una trovata pubblicitaria per portarli lì quel giorno dell’inaugurazione? Se il reparto giocattoli “dove i tuoi desideri si avverano” non fosse poi tanto diverso da tutti gli altri e fosse una mega, una giga-delusione?
Alle 16.00 precise scattarono i congegni delle serrande colorate e i motori iniziarono a farle salire lasciando fluire da sotto una luce fredda sempre più forte.
“Sembra incontri ravvicinati del terzo tipo, quel vecchio film di Spilberg” pensò Matteo.
La musica aumentava l’effetto “fantascienza” e i gridolini dei bambini si tramutarono in un “Oooh” di vero stupore quando finalmente si riuscì a vedere per intero il pezzo forte del reparto: un grande bancone circolare che riempiva tutto l’atrio e dal cui centro partiva una colonna ricoperta di monitor.
«L’effetto non è male» commentò Matteo con Alicia.
«Ma quanto grande è?» si chiese lei cercando di misurare a spanne il labirinto di scaffali che si estendeva dopo il bancone.
Mentre la gente eccitata prendeva posto attorno al bancone, tutti i monitor della colonna che si innalzava fino al soffitto si accesero in sequenza dall’alto verso il basso e cominciarono a trasmettere immagini di tutti i tipi. Era uno spettacolo! La luce fortissima di prima si fece soffusa e l’unica fonte luminosa e colorata rimase l’imponente colonna. Filippo non riusciva a chiudere la bocca e scorrendo le immagini notò che ciascun monitor era numerato. Poi d’un tratto apparve POPUP “a reti unificate” e l’appaluso partì spontaneo, proprio come quando sul palco di una commedia arriva il capo-comico. Non era il solito POPUP stupidotto. Visto dal monitor sembrava più intrigante, ammaliatore, i ragazzi non fiatavano e bevevano qualsiasi parola lui pronunciasse all’unisono con i suoi cento replicanti.
«Ecco le 7 regole d’oro del nostro gioco, state bene attenti. Se seguirete ciò che vi viene detto potrete avverare qualsiasi desiderio e portare a casa GRATIS, solo per oggi, ciò che avete sempre sognato».
puoi inserire il tuo biglietto vincente nell’apposita fessura una sola volta
quando l’avrai fatto, potrai scegliere dai monitor entro 40 secondi il tuo giocattolo preferito
avrai una sola possibilità di scelta, cioè potrai digitare sulla tastiera il numero del monitor che sta trasmettendo l’immagine dell’oggetto
puoi scegliere solo quello che gli altri non stanno prenotando. Se un’altra persona avrà desiderato la stessa cosa e digitato lo stesso numero, la scelta di entrambe sarà annullata
al termine della scelta o dei 40 secondi il tuo biglietto non è più valido e dovrai lasciare la postazione a qualcun altro
puoi riprovarci andando al primo piano dove c’è Strizzapizza e tentare di nuovo la fortuna: comprando un trancio di pizza in omaggio ricevi un altro GIOKApass per i premi di consolazione.
riuscirai a portar via ciò che hai desiderato solo se sarai furbo e determinato!
L’eccitazione era palpabile, ma non scoppiò la confusione come ci si sarebbe aspettati, anzi, sembrava di stare in una sala operatoria. Le persone parlavano sottovoce per non rompere la concentrazione, mentre sui monitor apparivano le prime immagini dei “desiderabili”.
Piscine gonfiabili super accessoriate… minimoto fiammeggianti… bambole alte 1 metro e mezzo che parlavano e ti insegnavano pure l’inglese e il francese… playstation ultimo modello… mostri incredibili… peluche giganteschi… microscopi… set per il calcio, con scarpini e magliette da personalizzare… scatole di trucchi da far invidia ad Hollywood… e poi ancora minicomputer… telefonini alla moda… piste elettriche per macchinine e treni… vere e proprie canoe… un kit per imbalsamare piccoli animali… cuccioli di tutte le specie…
Qualcuno spingeva per il poprio turno, altri restavano lontani dal bancone a farsi una “sbronza” visiva, in attesa di captare qualcosa di veramente eccezionale, unico. Se poi era una sequenza a circolo chiuso forse si sarebbe ripetuta e bastava cogliere il momento giusto per avvicinarsi al bancone. Le tattiche erano le più varie, ma molti erano quelli che finivano il turno con la faccia delusa di chi aveva consumato il proprio tempo senza riuscire a decidere o di chi si era visto annullare la propria scelta perché altri avevano digitato contemporaneamente quel numero.
Ogni tanto però si alzava un urlo di gioia e un ragazzino veniva accompagnato dal parente di turno, gonfio come un tacchino, fin dove iniziava il labirinto degli scaffali.
Era più tosto del previsto, ma Filippo si fece coraggio perché sapeva benissimo cosa voleva portarsi a casa. Guardò il bambino davanti a lui che aveva appena vinto e sentì crescere la sua convinzione, poi si avvicinò al bancone e urtò la spalla di uno che voleva prendere il suo posto.
«Alessio?»
«Scansati, ciccione, tocca a me.»
«Col cavolo, ci sono prima io!» Filippo infilò in un battibaleno il biglietto nella postazione, i 40 secondi partirono sul timer e le sue mani iniziarono a sudare.
Non c’era, non veniva fuori… no, eccola, meglio rossa, no quella verde sul 34, c’è la spider sul 67… mancavano 3 secondi e Filippo provò un brivido freddo, digitò il 56 (o il 46? Non ne era sicuro…). Sul monitor 56 apparve la scritta HAI VINTO e un grido di liberazione uscì dalle sue labbra carnose. Fece uno sberleffo ad Alessio e lo lasciò di sasso.
Valentino era piccolo, come avrebbe fatto a scegliere nel modo giusto? Matteo guardava il fratello mentre fissava la colonna luminosa.
«Vuoi provarci?» Valentino fece sì con la testa, ma non disse nulla.
Alicia stava facendo la fila dall’altra parte e così i due fratelli Conti si avvicinarono al bancone. Appena infilato il biglietto partì il loro conto alla rovescia e Matteo teneva in braccio Vale perché arrivasse bene alla tastiera. “Perché non decide? Prendi quello, dài, qualsiasi roba va bene, basta che non sia una roba da femmine… muoviti… “ pensava Matteo, ma non voleva mettere ansia al fratellino che se ne restava immobile. 15 secondi. Matteo ebbe la tentazione di desiderare qualcosa per sè, che male c’era? Piuttosto che andasse sprecata l’occasione!… 10 secondi. Il modello 125, doppie sospensioni… Il timer segnava 2… 1 e Matteo digitò un numero, mentre Valentino non si era nemmeno mosso. HAI VINTO, diceva il monitor e i due fratelli si guardarono un po’ increduli. Agli scaffali, poi, trovarono Alicia.
«Hai vinto anche tu?»
«Sembra di sì» rispose Alicia con gli occhi a mandorla che sorridevano.
Un pianto in stile “sirena bitonale” scattò alle loro spalle. Tutti si girarono verso la bambina col vestito rosso a puois che strillava e tirava calci al suo papà, mentre la staccava a forza dal bancone. La bambina-fragola era inconsolabile, la mamma aveva un bel daffare a ripetere che sarebbero andati allo Strizzapizza… prometteva altri 10 biglietti, niente… era arrivata ad assicurare di comprarle ciò che aveva desiderato qualsiasi costo avesse…
Uscirono dal reparto come fossero su un camion dei pompieri.

Tutti quelli che vincevano ricevevano un carrello, un braccialetto fissato al polso e una tesserina con colore, lettera e una sequenza di numeri strani. La spiegazione veloce fornita dal personale del reparto sembrava chiara… all’inizio. Il colore è la zona, la lettera la fila di scaffali, il primo numero è il ripiano… o il numero della cesta?…No, il primo si riferisce al settore dello scaffale…
Nel labirinto molti bambini e genitori, nonni, zii, amici si consultavano tra gli articoli bellissimi e nuovi di zecca che distraevano nella ricerca. Ogni volta che pensavi di essere nella tua zona l’occhio ti cascava su qualcosa di più interessante e con la scusa di darci solo una sbirciatina, di toccarlo o provare a giocarci solo un attimo, finivi per perdere l’orientamento e dovevi ricominciare da capo.
«Il colore è la zona, non vedi per terra la linea azzurra?» Alicia cercava di convincere Matteo della sua teoria «seguiamo il segnale a terra e ci arriveremo di sicuro.»
«Ma allora cosa sono quei numeri appesi? Non vedi? 3473, noi abbiamo il 3579 sarà da ‘sta parte, no?» Valentino si annoiava in questo lavoro di decodificazione e si perdeva continuamente tra gli scaffali pieni di pupazzi alieni e astronavi, costringendo gli altri due a inseguirlo per poi riprendere a discutere. Quelli che però passavano stringendo a sé l’oggetto scelto, rassicuravano che con un po’ di pazienza era possibile farcela. In realtà molti di quelli che trovavano il loro regalo finivano per cedere a qualche allettante promozione. Alcuni cartelli come “MEGLIO CAMBIARE” o persone in carne e ossa offrivano scambi vantaggiosi, 3x2 e altre cose simili che mettevano in crisi e così capitava che uno uscisse dal reparto convinto di aver fatto un affare, ma con in mano qualcosa di totalmente diverso da ciò che aveva desiderato. All’uscita del reparto poi la cassa controllava elettronicamente che il premio fosse giusto in base al braccialetto indossato, per cui non si poteva fare certo i furbi e mettere nel carrello un articolo a caso. Filippo vide uno dei suoi compagni di scuola che trasportava un modellino d’aereo telecomandato e gli venne il dubbio di essere stato banale nello scegliere una bici. Forse era davvero un poppante come lo aveva chiamato Alessio. Così tornò sui suoi passi e nel settore arancio accettò lo scambio del premio, cogliendo al volo una promozione “CAMBIA ORA O MAI PIU’”.
Alla cassa verificarono che lo scambio fosse regolare, controllando su un display collegato al reparto e, mentre gli stavano togliendo il bracialetto dal polso, si complimentavano con lui per l’ottima scelta… Filippo provò un’ondata di nostalgia per quella nuova bici verde metallizzata che aveva tanto sognato, ma che ora non aveva con sé e si sentì improvvisamente triste.

Seguendo il percorso azzurro si era arrivati veramente nel settore del premio di Alicia, ovvero il bricolage.
«Dev’esserci un errore» commentò Matteo «ma tu cosa hai scelto?»
Alicia sapeva perfettamente di essere nel posto giusto, mentre però passava un dito sulle confezioni di colori a tempera, pensò alla risata che Matteo si sarebbe fatto vedendo il suo premio. Si accorse come quest’ultimo non aveva poi così importanza rispetto all’opinione del ragazzo su di lei.
«Sì… ci dev’essere un errore nella tesserina. Beh, mi sono stufata di cercare ‘sta roba, perché non prendiamo il premio di Valentino e andiamo fuori?»
Ci vollero altri 10 minuti buoni per trovare il numero 3579 del settore giallo, riga H, scaffale 44/237 ma si trattava di una scatola cellofanata con l’immagine di una navetta spaziale sul coperchio che portava il numero 125.
Valentino la sollevò a fatica, perché era decisamente pesante per lui, ma era tranquillo, come se avesse saputo cosa fosse. In realtà nessuno di loro si ricordava una pubblicità in TV che reclamizzava quell’immagine.
I successivi 15 minuti servirono a cercare inutilmente l’uscita delle casse e alla fine i tre si avviarono verso l’assistenza clienti seguendo la stella oro con la “I”.
Allo stand dell’assistenza ritrovarono Susanna sui suoi pattini.
«Ciao ragazzi! Come è andata? Wow, che bel gioco!!!»
«Ciao Susanna! Noi vorremmo… uscire. Puoi darci una mano?»«Ma che discorsi, sono qui apposta!…Un gioco in 3? Beh, potete considerarvi fortunati, non tutti oggi hanno portato a casa quello che desideravano.» Susanna fluttuando sui suoi pattini parlava a raffica e intanto li accompagnò alle casse. Nessuno di loro avrebbe saputo spiegare come aveva fatto e ringraziandola ancora, lei sparì di nuovo nel labirinto.
MESE DEGLI INCONTRI
Dove siete?
Alla fontana
Come tanti altri clienti, stanchi di girare per negozi, Alicia, Matteo e Valentino avevano conquistato una panchina nella piazzetta della fontana e osservavano il loro pacco chiuso nel cellophane.
«Hai sentito cosa ha detto Susanna? Non tutti i bambini oggi hanno portato a casa ciò che hanno desiderato» disse Alicia nel tentativo di incoraggiare Valentino pensoso davanti a quel pacco.
«Io non ho schiacciato nessun bottone» rispose sincero Valentino “è stato Teo, è il suo desiderio.»
Alicia si girò stupita verso lo spilungone dalle treccine bionde e pensò a quel “…vai come un missile!” usato da Susanna: che fosse il nuovo modello di skate?
«Non chiedermi cosa sia» la bruciò sul tempo Teo, leggendole nel pensiero «Valentino non si muoveva e il tempo scorreva… io avevo anche pensato allo skate… poi quell’immagine sul monitor 6… ho creduto che a Valentino sarebbe piaciuto, lui è un maniaco di tutto quello che va nello spazio.”
«Sentito? Tuo fratello ha scelto un regalo… per te, non sei contento? Puoi aprirlo.»
Sotto il suo nasetto a punta a Valentino spuntò un sorriso con una finestrella aperta e iniziò a scartare il premio del GIOKAcity.
Accanto alla loro panchina c’era un ragazzo con una faccia conosciuta che sedeva su uno scatolone ancora sigillato. Era Filippo che, apparentemente assente, scrutava i carrelli strapieni mentre uscivano dall’ipermercato: si domandava per quale legge di anti-gravità tutta quella roba riuscisse a star su.
Una volta tolto il coperchio la scatola rivelò il suo contenuto.
«Sembra un progetto, no, aspetta… sono istruzioni… sì, per la costruzione… di un’astronave!»
«Un missile!» esclamò Valentino.
«Un’astronave?» domandò Alicia.
«Se avete un’astronave, io sono pronta a partire!» disse la signora Conti schioccando un bacio sulla testa di Valentino che le saltò immediatamente al collo.
«Ah, ciao mamma. No… è solo il gioco che Valentino ha vinto al Giokacity.»
«Ci siete stati? Com’era? Ma come avete fatto ad entrare?!»
Dopo aver presentato Alicia… il pomeriggio breve, ma intenso, fu presto raccontato alla mamma, con gli incisi di Valentino, capaci di sottolineare quelle cose a cui gli altri non avevano nemmeno fatto caso.
«E’ stato sicuramente meglio del mio, con tutta quella ressa al buffet…» confidò la signora Conti. «Mi spiace avervi lasciati soli, ma siccome siete ancora tutti interi, posso mantenere la mia promessa: scegliete qualcosa di speciale… che non mi faccia accendere un mutuo, si intende!»
Matteo e Valentino si scambiarono un’occhiata di intesa fraterna e Alicia pensò che le sarebbe piaciuto tanto conoscere quella complicità con qualcuno dei suoi fratelli. Si volevano bene, sì, ma col fatto che erano tutti maschi li sentiva troppo lontani…
«Ehi, ma tu non sei Filippo?» La signora Conti aveva riconosciuto il ragazzo seduto a pochi metri come l’unico figlio dell’architetto Biasi.
Filippo sentendo il suo nome si destò dalle sue teorie antigravitazionali.
«Ah? Sì, sono Filippo… ma lei chi è?»
«Sono un’amica di tuo papà. E’ di sopra al buffet, lo sai, no? Sei qui con lui?»
«Veramente ero venuto con i miei compagni di classe, ma poi… ecco… li ho persi.»
«Hai vinto anche tu al GIOKAcity» osservò Alicia indicando lo scatolone.
«Credo di sì» Filippo, era abituato a fare il prepotente e a mettersi sempre in mostra per ciò che possedeva, ma in quel momento la sua delusione era troppo grande per riuscire a nasconderla.
«Mamma, abbiamo scelto!» Valentino e Teo erano pronti per un annuncio ufficiale. «Vorremmo che in settimana ci aiutassi a trovare tutti i materiali per costruire questa specie di astronave… e per oggi: una mega fetta di torta con i pistacchi, da Cannella!!!»
«Tutto qui? Mi costate poco. Allora, se permettete, ci aggiungo io qualcosa: faccio un salto qui dentro a prendere gli ingredienti e la torta ve la faccio a casa come la faceva la nonna Matilde!”
«Sììì!» Era bello fare accordi con la mamma. La signora Conti prese portafoglio e telefonino dalla borsa.
«Chi chiami?»
«L’architetto Biasi. Filippo non hai voglia di venire a casa con noi per la merenda?»
Filippo fu spiazzato da un invito così… “gratuito”. Dopo l’avventura al GIOKAcity e quello che aveva fatto ad Alessio, si prospettava un pomeriggio di vagabondaggio solitario all’Antares in attesa che suo padre finisse i suoi impegni e lo portasse a casa.
«Se mio papà dice di sì… vengo di volata!»
«Naturalmente, anche Alicia è invitata.»
«Grazie signora» rispose Alicia con un filo di voce.
La giornata si concluse così a casa Conti tra un thè freddo e una grossa fetta di torta.
Quello che successe nelle due settimane successive, invece, fu un crescendo di fatti insoliti.

La confezione in cui era contenuto il regalo era fornita di fogli di istruzioni e qualche irriconoscibile pezzo: una cosa che sembrava una valvola, una serpentina, un sacchetto di polverina grigia, un mini-paracadute…
Sembrava uno di quei giochi di montaggio a metà tra il modellismo e il piccolo chimico. In realtà chiedeva di procurarsi cose assai comuni per lo più di riciclaggio o qualche oggetto nuovo che però serviva ad usi insoliti. Quando Matteo andò dall’enoteca all’angolo a chiedere un vecchio imbuto di alluminio, il proprietario si sbellicò dalle risate sentendosi rispondere che era per la costruzione di uno Shuttle! Però poi volle saperne di più e in cambio del pezzo “gratis”, si fece promettere da Teo che sarebbe stato tra gli invitati il giorno del primo “lancio”.
Anche il reparto Chifadasè dell’Antares era diventato uno dei fornitori dei piccoli oggetti che servivano, ma Matteo era entrato sempre cercando qualcosa di preciso e ne era uscito soddisfatto, senza dover mai chiedere aiuto all’assistenza clienti!
Ernesto, lo zio di Filippo, era un mago dell’elettronica e si offrì di dare una mano nel trasformare il radiocomando del SUV del nipote, come suggerivano le istruzioni. Per Filippo, infatti, da quel sabato, casa Conti era diventata la sua seconda casa e aveva donato alcuni pezzi del premio vinto al GIOKAcity, perché possedeva già 3 macchine radiocomandate e sentiva una particolare avversione per quel gioco che aveva preso il posto della sua desiderata bicicletta verde metalizzata.
La costruzione procedeva nel garage dei Conti e la domenica successiva anche Alicia apparve sulla porta dove Ernesto, Matteo e gli altri stavano armeggiando tra viti e bulloni.
«Ciao, passavo di qua.»
«Ciao, Alicia!» Tutti erano contenti di vederla, ma Valentino prese la rincorsa e le saltò addosso arrampicandosi come una scimmietta (cosa che riusciva meglio sulle gambe del papà perchè era alto 1 metro e 90).
«Vi darei volentieri una mano, se avessi una qualche capacità da ingegnere.»
Ernesto diede un’occhiata ai pezzi sparsi sul tavolino, poi controllò il foglio delle istruzioni.
«C’è una cosa che ci manca e potresti procurarla proprio tu. Fai un salto in farmacia a comprare del bicarbonato, eccoti i soldi.»
Ad Alicia sfuggiva il senso di quella commissione, ma era bello poter contribuire alla costruzione dell’astronave. Tramite qualche sms scambiato con Matteo le era sembrato molto preso dalla cosa e nonostante l’impresa fosse un po’ folle e praticamente…”inutile” (perché cosa c’è di più inutile di far fare un salto ad un giocattolo di latta!?) aveva messo in moto più persone e quasi tutto il vicinato parlava del garage dei Conti come di un’officina della Nasa.
Quando tutti i pezzi furono recuperati e assemblati come da schema, le prove per il “carburante” si spostarono a villa Biasi, perché era dotata di un gran giardino e le poteva fare solo Ernesto che era un adulto. I ragazzi giocavano con Spoc, il cane dei Biasi, e ogni dieci minuti circa controllavano che Ernesto fosse a buon punto e che, soprattutto, fosse ancora “tutto intero”.
Domenica 27, alle ore 15.00, fu organizzato il primo lancio nel giardino dei Biasi.
C’erano i ragazzi e le loro famiglie, qualche parente, un po’ di vicini curiosi, chi aveva contribuito materialmente (come il proprietario dell’enoteca) e a cui era stato riservato un posto in prima fila.
Il CBTShuttle (chiamato così dai cognomi dei ragazzi) non era grande, ma era uno splendore e pochi avrebbero detto che era fatto con materiali di recupero, se ne stava ritto nella sua rampa di lancio sotto gli occhi speranzosi di tutti.
Quel “bussolotto” - come lo chiamava il nonno Biasi - era servito a conoscere gente diversa, a stringere amicizia, ad usare con entusiasmo ogni minuto di tempo libero e poi… aveva fatto assaggiare a tutti il sapore dell’impresa. Che importava se si fosse alzato da terra anche solo di 10 cm o fosse scoppiato in aria come un grosso fuoco d’artificio?
Valentino, in quanto il più giovane, aveva il grande onore di dare il via con il radiocomando.
Iniziò il conto alla rovescia… 10…9…8…7…6…5…4…3…2…1… contatto!
TEMPO ESTATE ECCEZIONALE
L’ Antares era aperto da quasi 8 mesi ed era ormai un punto di riferimento per tutti gli abitanti della cittadina. Moltissimi clienti provenivano anche dal resto della regione, perché il considerevole numero di negozi, unito ad alcune scelte azzeccate di promozione e animazione, faceva sì che la gente fosse continuamente incuriosita e richiamata, tanto che, nelle domeniche di apertura, alcune famiglie sceglievano di passarci dentro l’intera giornata.
Questa apertura domenicale aveva sollevato non poche polemiche e c’era chi aveva organizzato di tutto: dalle campagne di boicottaggio alle pedalate ecologiche con partenza proprio dal piazzale del Centro commerciale, per offrire alternative ad una domenica di esclusivo consumo.
I piccoli commercianti poi erano perennemente in battaglia. Richiamavano l’attenzione sui propri diritti con articoli di fuoco nei giornali e manifestazioni di protesta per il mancato guadagno, denunciando la prossima chiusura di molti negozietti del centro storico.
Alicia sedeva sulla panchina con in mano l’ennesimo volantino di protesta che le era stato consegnato nel piazzale dalla associazione degli esercenti. La fontana di La Fuente gorgogliava alle sue spalle, recentemente riattivata dopo un attacco di vandalismo giovanile che l’aveva tasformata in una gigantesca bambola “sbrodolina” innondando di schiuma tutta la piazzola. C’erano voluti due giorni per ripulire il tutto. Alicia aspettava le 15.00 in una giornata bellissima, con il sole che entrava dai finestroni per giocare sugli spruzzi d’acqua.
Con quelle belle giornate era difficile per un ragazzino pensare di abbronzarsi alla luce dei neon dell’Antares, ma, dovendo accompagnare i genitori nella spesa, c’era chi si accontentava delle offerte di svago del Centro come fosse un enorme parco-giochi. Per un bambino delle elementari salire e scendere sulle scale mobili o anche spingere il carrello poteva risultare divertente, ma non poteva comunque riempire tutto il pomeriggio. C’era il momento in cui si passava nel reparto che più interessava, ma durava sempre troppo poco, per il resto ci si annoiava tanto al Tuttocasa quanto al Chifadasè. I più grandi ottenevano il permesso di andare a girovagare al Giokacity e magari comprarsi qualcosa.
A dire il vero i bambini più creativi sapevano cogliere uno spunto qualsiasi per farlo diventare gioco. Alicia notò una ragazzina che nel corridoio aveva inventato un percorso con delle regole ben precise calpestando i disegni sul pavimento del corridoio (saltare i quadrati bianchi, mettere sempre il piede destro sulla riga blu e cercare di arrivare alla striscia, in meno di tre passi… cose di questo genere). Molto probabilmente la bimba, così concentrata, avrebbe finito per allontanarsi, non vista da mamma e nonna impegnate in tutt’altro. Tutto nella norma: da qualche mese all’Antares il personale come Susanna, la ragazza sui pattini, aveva recuperato più di 100 “bambini sperduti” accompagnandoli all’assistenza e lanciando un appello ai genitori perché li venissero a recuperare come si fa in estate dagli altoparlanti dei camping.
«Susanna!» sussultò Alicia «Che fine avrà fatto?»
La fatina con le rotelle, come l’aveva segretamente soprannominata, era stata una vera apparizione il giorno dell’inaugurazione, ma poi, in tutte le volte che le era capitato di tornare all’Antares, non l’aveva più incontrata.
“Forse compare davvero al richiamo di PIZZA…PIZZA… di qualche bambino capriccioso…” si disse Alicia.
Lo Strizzapizza e il Belvedere erano poi stati eletti i due maggiori punti di ritrovo per i ragazzi della sua età o dei primi anni delle superiori. Il sabato pomeriggio si faceva qualche “vasca” nel corridoio al 4° piano quello con i negozi più “fashion” per i giovani, un po’ di shopping - se le tasche lo permettevano - e poi si faceva la spola tra lo strizza e il belve, dove il “belvedere” non era tanto il panorama della città, ma i gruppetti del sesso opposto che si appollaiavano su panchine e parapetti come fossero in vetrina. Alicia pensò che forse le sue compagne la consideravano un po’ “anormale” visto che non amava molto questo modo di frequentare l’Antares, ma tutte le volte che l’avevano convinta a stare con loro si era divertita solo a tratti e poi era tornata a casa forse anche un po’ più vuota di prima.
A lei piacevano altre cose, come correre sui pattini e andare al porticciolo dove c’erano le barche a vela, dipingere, far giocare i bambini più piccoli del suo condominio…I bambini erano la sua vera passione e si sentiva bruciare dentro quando li vedeva maltrattati nei TG o di persona.

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