giovedì 22 maggio 2008

Saluto del Presidente Roberto Ginesi al nuovo consiglio diocesano.

In questo mio primo discorso, o saluto al consiglio, vorrei partire dai ringraziamenti: si ringrazia il Signore perché è a Lui che dobbiamo tutto. Dobbiamo ringraziarlo per questi tre anni passati in cui sentiamo che l’associazione è cresciuta e segno di questo sono gli amici che fanno parte del consiglio per la prima volta o che rientrano: Beatrice, Alessandro, Annalisa, Sara, Paolo, Mauro, Stefano, Claudia, Riccardo, Giovanni, Paola, Alessio. A ciascuno di voi va il mio ringraziamento e il mio benvenuto.
Ringrazio Piero a nome mio, di don Mariano e di tutti gli altri amici che erano già nell’altro consiglio. Grazie per averci insegnato, dimostrandocelo concretamente che “la Provvidenza aiuta, la Provvidenza non abbandona mai” e grazie di essere ancora qui.

L’uscire da sé.
Vorrei condividere con voi alcuni pensieri che mi ha suscitato in questi giorni la lettura degli scritti di fratel Arturo Paoli che idealmente ci ha guidato nella scorsa assemblea con il tema dell’ospitalità o accoglienza. Questo tema verrà da noi ripreso, approfondito fino a che diventerà il nostro modo di essere. Ma il punto di partenza del discorso di Paoli può essere riassunto nella frase: uscire da sé.
Uscire da sé: a questo vorrei legare quattro parole (già dette, già sentite) che però hanno grande importanza come persone e come aderenti dell’Azione Cattolica: formazione, partecipazione, accoglienza e sinodalità.
Uscire da sé significa liberarsi del proprio io-egoista e andare incontro all’altro/a. Paoli in “Quel che muore, quel che nasce” dice che per prima cosa Gesù andò nel deserto (e questo periodo quaresimale ce lo ricorda) e prima di andare incontro agli altri nella sua missione digiunò, come se perdere il legame di dominio, di possesso che l’uomo ha sul cibo fosse il primo passo per perdere la propria attitudine a essere padrone. Solo in questa passività, che è la suprema attività, trova la leggerezza necessaria per andare incontro all’altro, pronto ad accoglierlo.
Perché allora la formazione? L’AC fa della formazione uno dei suoi compiti principali ma deve essere chiara una cosa: solo attraverso la Parola di Dio, la lettura ed il confronto con i fratelli si cresce come persone. Quello che sembrerebbe un arricchimento personale deve essere però uno svuotamento della persona: tanto più conosciamo e aumentiamo la nostra consapevolezza, tanto più, secondo l’esempio di Gesù che dicevamo prima, ci dobbiamo sentire leggeri, poveri. Questa è la formazione che porta ad uscire da sé.
Lo stesso don Milani, che praticamente considerava insegnare ed evangelizzare la stessa cosa, diceva in “Lettera a una professoressa” estremizzando: “dicesi maestro chi non ha altri interessi culturali al di fuori della scuola”, per far capire che la formazione è servizio e che c’è il rischio anche fra noi cristiani di innamorarsi della propria cultura.
Dicevo prima partecipazione, senza la quale non esiste l’associazione. Essa deve essere però uno stile di vita. Sempre don Milani diceva “I care”: mi interessa, mi sta a cuore. Significa sentirsi responsabili, coinvolti e sicuramente questo aspetto all’AC non è mai mancato. La partecipazione è strettamente legata all’uscire da sé, anche fisicamente: ci costa fatica spostarci, incontrarci, organizzare, esserci, però è il modo per non rintanarci in noi stessi. L’AC dà tante possibilità per incontrare gli altri e per formarsi, dal livello parrocchiale a quello nazionale, però dobbiamo sfruttarle di più.
Penso alla realtà dei nostri paesi, così piccoli: come può un giovane trovare attraente avere come orizzonte di vita solo la propria parrocchia quando invece sente il bisogno di conoscere il mondo, di incontrare persone, di uscire da sé appunto? Anche in questo l’associazione aiuta.
Ancora: il tema sul quale abbiamo riflettuto in assemblea: l’accoglienza, come viverla in primis nell’AC? Intanto è mio compito creare nel consiglio un ambiente accogliente in cui ogni persona possa mettere a frutto i propri carismi. Per fare questo mi dovrò assicurare che ciascuno si senta libero di dire la propria opinione, ascoltato e mai giudicato, invogliato a condividere con tutti un’idea che ha avuto. Ricordiamoci anche che è importante la correzione fraterna quindi ditemi se qualcosa non va.
Nelle nostre associazioni, e mi rivolgo in particolare ai presidenti parrocchiali, sia vostra cura creare una casa accogliente. Nella mia esperienza, il nostro gruppo veniva etichettato in paese come “gruppo chiuso”, eppure mi chiedevo io non voglio escludere nessuno, saranno solo pregiudizi. Poi ripensando a come mi comportavo posso dire che se arrivava una persona nuova ero contento perché eravamo uno in più, ma indifferente alla persona stessa, a chi fosse, perché fosse lì,… insomma non facevo niente perché l’altro si sentisse accolto, amato.
Dobbiamo cambiare il nostro atteggiamento da passivo ad attivo, dobbiamo essere noi a fare il primo passo verso gli altri e non aspettarci che siano gli altri a farlo. Qui l’uscire da sé raggiunge la sua massima espressione. Sempre fratel Arturo Paoli in “La forza della leggerezza” dice: “l’amore non è una forza che va da me verso gli altri: quella è beneficenza, l’amore è accettazione dell’altro”.
Infine una declinazione dell’uscire da sé è la sinodalità. La chiesa, lo sappiamo, o è sinodale o non è chiesa. Cammina insieme, è un popolo che va incontro al Signore. L’Azione Cattolica non andrà mai per conto suo. Ha tanti aderenti: ma siamo tutti un sottoinsieme di un insieme più grande. In questo la presidenza di Piero è stata esemplare: dobbiamo continuare e aumentare la collaborazione con i vari uffici diocesani per la pastorale. L’AC sia sempre un mezzo, mai un fine dell’essere cristiani. Il nostro statuto ci ricorda che “il fine è la comunione”, teniamolo sempre in mente. Se qualcuno in parrocchia vi chiedesse che senso ha essere dell’Azione Cattolica, ricordategli che non si può essere cristiani da soli.
Per coloro che entrano per la prima volta nel consiglio e si chiedono: cosa devo fare io? Qual è il mio ruolo? Rispondo con quel passo del Vangelo di Giovanni in cui due discepoli del Battista chiedono a Gesù: “Maestro, dove abiti?” e Gesù dice loro: “Venite e vedrete”. Serve una predisposizione d’animo, affidarsi al Signore e “camminando s’apre cammino”. Le cose si capiscono facendone esperienza diretta; diceva Paola Bignardi esperienzialità è dal fare al dire.
Il primo compito del consiglio sia essere unito nella preghiera. Do un impegno a ciascuno di voi: dite ogni giorno una preghiera per la nostra associazione, perché ognuno porti avanti il proprio impegno da servo inutile sì, ma operoso.

Affidiamoci a Maria, nostra Patrona, ci benedica e interceda per noi.
Roberto Ginesi

Manciano, 2 marzo 2008.

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